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    “Oggetti smart e Realtà Aumentata, così la tecnologia aiuta il sociale”

    Notte dei Ricercatori, Garzotto del PoliMi: i progetti per scuole e disabilità

    di Redazione Open Innovation | 08/08/2019

Professoressa Franca Garzotto, direttore dell’i3lab al Dipartimento di Elettronica, Informazione e Bioingegneria del Politecnico di Milano, anzitutto quali sono i suoi ambiti di ricerca?

“La mia attività, sia di ricerca sia di didattica, si concentra sulle tecnologie interattive innovative e sulle modalità con le quale gli esseri umani interagiscono con esse, nell’ambito di quella disciplina definita come ‘Human-Computer Interaction’. Nel laboratorio i3lab che dirigo utilizziamo principalmente tre tipi di tecnologie. La prima è quella della Realtà Virtuale Immersiva ‘indossabile’ – che permette all’utente di interagire con contenuti digitali tramite visori (anche di basso costo), e della Realtà Aumentata – che tramite visori più sofisticati (Hololens) permette la visione della realtà fisica circostant, insieme a quella di oggetti virtuali superimposti a tale visione.

La seconda tecnologia che impieghiamo è quella degli Smart Objects e Smart Spaces: si tratta di oggetti o spazi fisici integrati in modo non visibile con la tecnologia digitale, attraverso sensori ‘embedded’, nascosti, che permettono di recepire segnali di movimento, tocco, pressione e attraverso attuatori, che emettono segnali in grado di stimolare tutti i sensi. Questi dispositivi ci permettono di rendere interattivi gli oggetti quotidiani (ad esempio i giocattoli), e interi spazi, attraverso proiezioni di luci e immagini, fino all’emissione di aromi e bolle: si arriva insomma a progettare spazi multisensoriali come quella che abbiamo chiamato ‘Stanza Magica’.

Infine, la terza categoria di tecnologie su cui lavoriamo è quella degli ‘agenti conversazionali’, ovvero applicazioni software che permettono di interagire con l’utente attraverso il linguaggio naturale, scritto o parlato - noi utilizziamo soprattutto quest’ultimo -: strumenti che rendiamo disponibili su tablet o in giocattoli ‘smart’.

Applichiamo tutto questo prevalentemente al settore dell’education, del learning e del supporto a persone con disabilità, quindi in contesti didattici o terapeutici per migliorare o arricchire interventi di tipo più tradizionale.

 

"C’è un miglioramento chiaro nel processo di apprendimento attivato nella Stanza Magica, rispetto alle attività svolte solo in classe, per gli alunni con qualche forma di disabilità".

 

Cosa di tutto questo mostrerete al vostro stand alla Notte dei Ricercatori, il 27 e 28 settembre a Milano?

“Porteremo visori per la Realtà Virtuale e per quella Aumentata, alcuni Smart Objects ovvero  pupazzi intelligenti, e anche un’installazione miniaturizzata della ‘Stanza Magica’, comunque interattiva. Pensiamo poi a un percorso che attraversi tutte queste tecnologie, una sorta di problem solving legato alla soluzione di un giallo: i bambini potranno vedere la scena del crimine con la Realtà Virtuale, poi dovranno cercare gli indizi ‘dialogando’ con alcuni oggetti smart integrati con agenti conversazionali, e infine potranno interagire con la mini Stanza Magica per indicare qual è secondo loro la soluzione del giallo”.

 

Come cambia l’apprendimento grazie ai vostri strumenti?

“Per sperimentare l’efficacia degli spazi Smart nell’apprendimento, abbiamo istallato quattro Stanze Magiche in contesti reali: due in altrettante scuole a Cornaredo, in provincia di Milano, grazie a un progetto attivato con Polisocial, il programma di impegno e responsabilità sociale del Politecnico di Milano; altri due in centri terapeutici, uno per l’assistenza per bambini con gravi disabilità cognitive a Milano - L’Abilità - e uno a Roma, il CRC Balbuzie.

Abbiamo appena terminato uno studio empirico a Cornaredo con oltre 50 bimbi per sperimentare l’efficacia delle Stanze Magiche nello studio della geografia.

Quello che abbiamo osservato è che gli alunni con capacità medio-alta non hanno particolari benefici, mentre c’è un miglioramento chiaro nel processo di apprendimento attivato nella Stanza Magica, rispetto alle attività svolte esclusivamente in classe, per gli alunni con qualche forma di disabilità. Nel loro caso, la tecnologia rende più coinvolgente ed efficace lo studio e si conferma come un potente strumento di inclusione”.

 

Dunque tecnologie pensate in un’ottica di Responsible Reserch in Innovation?

“Il laboratorio i3lab è multidisciplinare e comprende sette dottorandi, due assistenti alla ricerca, una psicologa, molti laureandi e studenti sia di Ingegneria Informatica che di Design (io insegno in entrambi i percorsi di laurea magistrale). Per noi la tecnologia è un mezzo, non un fine. È questo il nostro obiettivo principale: utilizzare i nostri sistemi come strumenti di inclusione. L’attenzione all’inclusione poi non si limita ai prodotti: spesso il nostro lavoro prevede anche il codesign delle tecnologie, le progettiamo cioè insieme agli stessi destinatari finali, dagli alunni delle scuole ai docenti, dai terapisti alle persone con disabilità. E per questi nostri ‘design partners’ il lavoro di coprogettazione con il Politecnico è importante: vedono che quello che hanno disegnato su carta viene poi realizzato e ci accompagnano nel nostro percorso, fino ad essere presenti alle sessioni di laurea in cui si discutono le tesi degli studenti con i quali hanno creato le applicazioni. Si tratta dunque non solo di inclusione per il sociale, ma con il sociale.

 

Quanti sono in laureati che possono vantare quest’impostazione? Quanto trovano lavoro?

“Questo è un dato interessante. Da un lato, abbiamo una grande partecipazione degli studenti ai nostri corsi, il mio laboratorio conta in media una decina di tesisti magistrali l’anno e vari dottorandi, quindi un numero elevato. Gli studenti apprezzano molto il fatto di poter non solo progettare ma anche entrare in contatto con la realtà, visitando i centri con cui facciamo co- design. Ma una volta finiti gli studi, purtroppo è difficile che riescano a continuare sulla strada dell’Informatica per il sociale. E questo per un motivo semplice: manca un mercato di riferimento. Noi abbiamo contratti e collaborazioni di ricerca con grandi aziende come IBM Italia o Reply, ma per il resto non ci sono industrie interessate a investire nello sviluppo di tecnologie per l’inclusione, perché nonostante ci sia un bisogno chiaro in questo campo non c’è però un adeguato ritorno economico.

E dire che la nostra ‘Stanza Magica’ costa meno di 15 mila euro: un prezzo molto inferiore a quello di tecnologie analoghe (ma meno complete) realizzate da altri soggetti ad esempio in UK. Non a caso, riceviamo quasi ogni settimana delle richieste per istallare la Stanza in centri educativi o terapeutici. Abbiamo cercato un partner privato con cui trasformare questo sistema in un vero prodotto, ma finora non l’abbiamo trovato. C’è inoltre il problema di sostenere in modo continuativo l’uso di questa tecnologia, sia dal punto di vista tecnico che per rendere autonomi gli operatori che la utilizzano sul campo. Nelle scuole, ad esempio, abbiamo trovato docenti e dirigenti eccellenti con cui collaborare ma tutto è lasciato all’iniziativa dei singoli: ogni tecnologia avanzata per il learning richiede una formazione e spesso ci sono altri problemi da affrontare prima, dunque è difficile pensare a una sua diffusione di massa. Analogamente, nel settore dei servizi alla disabilità,

riscontriamo un interesse crescente per le nostre tecnologie ma anche qui ci sono spesso altre priorità, legate alla mancanza di personale e alla necessità di garantire servivi ‘di base’. CRC - il centro terapeutico romano con cui collaboriamo - rimane un’eccezione: la Stanza Magica ivi istallata viene usata in modo autonomo dagli operatori, utilizzata in modo continuativo e con successo, per i bimbi con autismo”.

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