Quanto valgono dati e tecnologie personali al tempo del Covid
Redazione Open Innovation
Pubblicato il 07/05/2020
Pubblicata il 07/05/2020 alle 14:23
Ultimo aggiornamento: 07/05/2020 alle 15:56
Ultimo aggiornamento: 07/05/2020 alle 15:56
di Guido Romeo - giornalista scientifico, esperto di Open Data, Foro regionale per la Ricerca e l’innovazione
In meno di un anno, Covid-19 ha causato oltre 232 mila vittime a livello globale, 300 volte quelle provocate 17 anni fa da un coronavirus analogo, la Sars. Il nuovo virus, Sars-Cov2 si sta dimostrando molto più infettivo ma, rispetto al 2003, oggi abbiamo un’arma in più per combatterlo: gli smartphone divenuti ormai un’estensione del nostro corpo e della nostra identità.
L’Italia, il paese più flagellato dal Covid dopo gli Usa, è tra le primi 20 nazioni al modo per penetrazione di smartphone che quindi potrebbero fare la differenza nella fase 2 appena inaugurata. Queste tecnologie personali, infatti, offrono non solo una capacità inedita di generare dati digitali personali, ma anche la possibilità di modulare, praticamente in tempo reale, i nostri comportamenti individuali e collettivi sulla base di ciò che da questi dati emerge.
Un recente studio sul Lancet sulla città di Wuhan ha mostrato che è possibile fare “nowcasting” della diffusione di Covid-19 incrociando i dati sulla mobilità umana con quelli dell’app WeChat e altri servizi digitali sempre di proprietà del gigante digitale Tencent. E già dieci anni fa i dati del traffico da mobile furono fondamentali nell’anticipare e contenere l’epidemia di colera ad Haiti. Anche la crisi di Ebola che ha investito l’Afroca occidentale tra il 2014 e il 2016 ha mostrato l’utilità dell’analisi dei dati raccolti dai cellulari.
Con AllertaLom, la Lombardia dà già ai cittadini un nuovo canale per contribuire a raccogliere dati volontariamente e, tra qualche settima, anche il governo italiano metterà in campo la propria app per tracciare i contatti che avremo con altre persone, seguendo quanto già fatto in Asia, in Israele, Germania, Austria e Gran Bretagna. È chiaro che il digitale da solo non basta a battere l’epidemia. Gli esempi di Tawain, Singapore e Corea del Sud, mostrano che le tecnologie digitali diventano un tassello fondamentale nel contenimento dell’infezione, solo se fanno parte di un piano articolato di testing e di prevenzione sanitaria.
Da grandi poteri derivano però grandi responsabilità e il digitale ne solleva certamente. La più cruciale è la sua accettabilità sociale, fondamentale in uno scenario come quello attuale che, in assenza di vaccino, potrebbe costringerci a convivere con il virus ancora per molti mesi. Le misure di tracciamento – che molti già equiparano a una nuova “sorveglianza digitale” – saranno efficaci se adottate dalla maggior parte della popolazione e potranno diventare parte efficace dell’arsenale antiCovid solo se, come istituzioni e come cittadini, sapremo spiegarne l’utilità e accordarci sui nuovi limiti che devono avere.
I nostri dispositivi mobili infatti, non contengono solo i nostri dati personali, ma anche le tracce di dove ci spostiamo raccolte dal Gps, di chi contattiamo attraverso la messaggistica e le chiamate, a quali informazioni accediamo e cosa acquistiamo online attraverso cookies e link, insomma non solo con chi e cosa interagiamo online, ma anche nel mondo fisico. Ce n’è abbastanza per costruire un profilo delle nostre personalità e abitudini più dettagliate di quanto noi stessi siamo spesso in grado di ricordare.
Le preoccupazioni di molti per la privacy digitale di fronte al Covid19 sono tutt’altro che ingiustificate. Il New York Times ha recentemente documentato che Alipay Health Code, l’app sviluppata dal gigante Alibaba per il governo di Pechino allo scopo di tracciare le infezioni di Covid19 e decidere chi doveva stare in quarantena, condivideva dati anche con le forze di polizia senza che gli utenti ne fossero a conoscenza.
Da un punto di vista normativo l’Europa è forse la meglio attrezzata su questo fronte grazie al GDPR, la normativa sulla protezione dei dati personali che ci pone all’avanguardia nel mondo, e al lavoro dell’alto gruppo per l’etica dell’intelligenza artificiale voluto dalla Commissione europea. Lo European Data Protection Board ha già provveduto a indicare gli articoli del GDPR da tenere in considerazione nello sviluppo di app e sistemi di tracciamento digitale, e in Italia anche il Garante della Privacy si è attivato per segnalare i rischi di procedere con un “fai da te” non coerente con il quadro europeo.
Un buon esempio di queste pratiche esiste già al di fuori dell’UE: l’app TraceTogether sviluppata da Singapore, la quale non utilizza il Gps, ma solo il bluetooth (come apparentemente avverrà per il sistema italiano) e dispone di una serie di misure a protezione della privacy esplicitate all’utente.
Ma soprattutto, nel valutare quanto la riservatezza di alcuni nostri dati possa essere diminuita da misure di contrasto al Covid dobbiamo ricordare che, come ha osservato Luciano Floridi, uno dei migliori filosofi del digitale contemporanei, la privacy non è un valore monolitico e non negoziabile.
Se ci sentiremo adeguatamente tutelati saremo più disposti a cedere una parte della riservatezza su alcuni nostri dati, magari solo temporaneamente e solo per usi ben definiti esclusivamente da parte degli operatori sanitari. Saremo cioè disposti a negoziarla con una maggiore sicurezza e libertà di movimento, sapendo che stiamo contribuendo a ridurre le vittime e le perdite economiche dovute alle misure di quarantena.
Nel suo De Legibus, Cicerone aveva osservato “salus publica suprema lex esto”, ma vale la pena ricordarci che la lotta al virus è anche un banco di prova importante per costruire la fiducia dei cittadini, che potrebbe rivelarsi una risorsa preziosa negli anni a venire di fronte ad altre crisi di questo genere. Come ha osservato recentemente Paul Russel Ward su Frontiers in Public Health, se le istituzioni non sapranno utilizzare dati e algoritmi in maniera responsabile e trasparente, rispettando privacy e confidenzialità, mineranno la fiducia pubblica. Con il risultato di rendere i cittadini meno disposti a rispettare le misure sanitarie, finendo per penalizzare l’efficacia delle misure stesse.
@guidoromeo
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