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    Lescai: al passo con i tempi lo studio per un sequenziamento genomico neonatale in Lombardia

    L’esperto del Foro lombardo per la Ricerca: da Regione un approccio innovativo sul tema

    di Redazione Open Innovation | 16/08/2018

Francesco Lescai, laureato in Biotecnologie Mediche a Bologna, è uno dei dieci esperti chiamati da Regione Lombardia nel nuovo Foro regionale per la Ricerca e l’Innovazione. Professore associato in Genetica Umana e Bioinformatica alla Aarhus University di Danimarca, coordina il progetto europeo SMART-map (Horizon2020) per l’integrazione della Responsible Research and Innovation (RRI) nei settori industriali di Precision Medicine, Biologia Sintetica e 3D Printing in Biomedicina.

 

Professor Lescai, Regione Lombardia avvierà uno studio per valutare la possibilità di uno screening genomico neonatale per tutti i nuovi nati: un’iniziativa futuribile, o in altri Paesi ci si sta già muovendo in questa direzione?

 

“Le iniziative di screening neonatale di massa sono ormai diffusissime nel mondo da anni e monitorate dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tutti conosciamo il prelievo dal tallone dei neonati di alcune gocce di sangue, depositate su una carta speciale per essere analizzate: si è partiti da alcuni test come la fenilchetonuria per arrivare poi a usare la spettrometria di massa, che ha permesso lo screening su una cinquantina di malattie del metabolismo. Danimarca e Finlandia addirittura hanno avuto la lungimiranza ormai decenni fa di conservare queste gocce di sangue in una biobanca: oggi quella danese, costituita nel 1984, raccoglie quasi 2 milioni di campioni, un’esperienza interessante anche perché i numeri della popolazione danese sono comparabili con quelli della Lombardia. Regione Lombardia valuterà qualcosa di diverso, ovvero un sequenziamento genomico dei neonati. Per rispondere alla domanda, allora, non si tratta di un’iniziativa futuribile, ma al passo con i tempi. Il costo di un singolo sequenziamento genomico è ormai basso, inferiore ai 400 euro, e presto diventerà alla portata del consumatore: la domanda da porsi allora è casomai perché non farlo. Sono molti i Paesi che stanno considerando questa opzione: nei USA ad esempio sono stati finanziati quattro studi di fattibilità in merito, uno di questi chiamato non a caso “BabySeq”. Ora, le considerazioni da me fatte per la Medicina di precisione valgono anche in questo caso: siamo davanti a una sfida che non è solo economica, in gioco c’è anche l’inserimento e l’armonizzazione di questi nuovi approcci negli attuali sistemi sanitari nazionali. Le sfide e le domande che ho evidenziato per la precision medicine però qui risultano amplificate: il problema fondamentale è evidenziato bene da un parere del 2015 dell’European Society of Human Genetics, e si può riassumere nell’esigenza di preservare il futuro aperto del neonato”.

 

Cosa significa preservare il futuro aperto del neonato?

 

“Occorre garantire che le informazioni raccolte con gli screening non possano condizionare le sue scelte di vita, la possibilità di disegnarsi autonomamente un futuro. Se è vero che uno screening genomico non raccoglie solo dati attinenti a possibili patologie, ma una mole enorme di informazioni diverse, la domanda da porsi è: conoscere questi dati influenzerà o no le sue scelte? Questo è il motivo per il quale le principali società scientifiche internazionali hanno concluso che i criteri stabiliti nel 1968 dall’OMS con Wilson e Jungner per gli screening neonatali non si adattano allo screening genomico neonatale: perché le informazioni ottenute dal sequenziamento del genoma sono molto più cariche di potenziali influenze sulle decisioni future di una persona. Il Nuffield Council on Bioethics in Gran Bretagna ha espresso un parere su questo tema proprio di recente, in parte richiamando conclusioni delle maggiori Società scientifiche attive sul tema, ovvero l’American Society of Human Genetics, l’European Society of Human Genetics, la Global Alliance for Genomics and Health, che sta prendendo in gestione gli standard internazionali per il sequenziamento del genoma. Ma il NCB inglese ha evidenziato che, mentre queste Società hanno espresso cautela sul sequenziamento dell’intero genoma (una posizione presa però circa tre anni fa, un arco di tempo che per la ricerca è lunghissimo), al contrario molte associazioni di genitori e di pazienti vorrebbero poter avere l’ampio spettro di informazioni che uno screening genomico può offrire. Tra l’opinione delle Società scientifiche e quella dei cittadini c’era dunque una contrapposizione, come ha sottolineato il NCB inglese. Proprio per queste implicazioni e queste domande, affrontare il tema non solo da un punto di vista di fattibilità tecnica ma in un quadro di vera e propria Responsible Research and Innovation rappresenta una scelta originale e attualmente unica”.

 

Le famiglie erano interessate alle possibilità aperte da un sequenziamento genomico neonatale?

 

“Sì, in particolare a quella di individuare le patologie ereditarie di tipo genetico. Certo, poi si pone un problema: se le patologie individuate dallo screening non fossero curabili, a cosa serve individuarle? Anche per questo, le Società internazionali che si occupano di genetica suggeriscono di integrare gli attuali screening neonatali con informazioni di tipo genetico, per aumentarne la capacità diagnostica limitata da tutta una serie di falsi positivi o falsi negativi. Questa, di fatto, è una delle raccomandazioni che emergono dagli studi di fattibilità citati.

Rimane però il problema del futuro aperto del neonato. Facciamo prima l’esempio della genotipizzazione, ormai molto comune: è noto come alcune persone grazie a essa abbiano scoperto di essere affetti da patologie cardiache non individuabili con i test cardiologici, patologie che possono emergere oltretutto solo in condizioni molto particolari. Ebbene, le persone rese consapevoli del rischio hanno cominciato a portarsi dietro un defibrillatore, e d è capitato che le informazioni ottenute grazie alla genotipizzazione abbiano salvato delle vite altrimenti in serissimo pericolo. In questo caso, l’utilità delle informazioni genetiche è ovvia. Ma nel caso di informazioni genetiche relative a un neonato sano, ci si chiede: è giusto darle alla famiglia così presto? Come avere la garanzia che tale informazioni non facciano compiere ai genitori azioni che influenzeranno i figli? Le informazioni genetiche vanno conservate, e se sì come? Si può pensare di comunicarle alle famiglie più avanti negli anni? In Inghilterra ad esempio si è scelto di procedere a sequenziamenti genomici completi, ma di analizzare poi solo determinate porzioni di tale sequenziamento e cioè quelle associate a una specifica patologia riscontrata. Nel complesso, comunque, si tratta di domande aperte, alle quali a oggi nessuno è in grado di dare una risposta. Ecco perché Regione Lombardia con la direzione proposta potrebbe dare delle risposte inedite”.

 

Quale può essere allora il vostro contributo a questo dibattito, come membri del Foro lombardo per la Ricerca e per l’Innovazione?

 

“La novità dell’iniziativa di Regione Lombardia nel contesto internazionale sta in un approccio che non sposa un solo punto di vista – tecnico, o giuridico, o etico – ma sceglie il framework di Responsible Research and Innovation. E dunque un’ottica più ampia, che include partecipazione e giustizia sociale, oltre che il nodo della sostenibilità collettiva. La serietà dell’iniziativa di Regione Lombardia sta anche nel passare anzitutto da uno studio di fattibilità, come del resto stanno facendo i principali soggetti interessati a muoversi in questa direzione”.

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