• Lombardia 2030

    “Fiori all’Occhiello, la nostra sartoria dall’integrazione alla formazione”

    Su Lombardia 2030: il cucito come fonte di autonomia per decine di donne e riscoperta di un’arte

    di Redazione Open Innovation | 05/05/2021

La sartoria come strumento di integrazione prima, autonomia femminile poi e, in futuro, come ‘alta competenza’ da riscoprire con corsi di formazione ad hoc.

C’è insomma il cucito - presentato come “l’intelligenza della mano” - al centro del progetto “Fiori all’Occhiello”: un percorso di sartoria che - racconta la coordinatrice Chiara Ugolotti dell’associazione La Rotonda - ha coinvolto finora una quindicina di persone in quello che è il Comune italiano con il maggior numero di stranieri residenti ovvero Baranzate, alle porte di Milano, dove rappresentano il 33% degli 11 mila abitanti e dove convivono ben 72 etnie diverse.

Per la sua valenza sociale, “Fiori all’Occhiello” è uno dei progetti presentati su Lombardia 2030, la sezione di questa piattaforma dedicata alle iniziative del territorio che perseguono i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030. Tutto nasce nel 2014 da un doposcuola in oratorio, “cercando qualcuno che sapesse cucire magari per dare un mano a una recita, o a uno dei corsi organizzati” racconta Ugolotti. Si fanno avanti una serie di mamme, provenienti un po’ da tutto il mondo.

“Come per tutti i progetti della nostra associazione, per far passare i soggetti coinvolti dall’assistenza all’indipendenza economica volevamo partire dalle capacità delle persone per valorizzarle, e fare insomma leva su queste più che ‘imporre’ dall’alto una nostra iniziativa”.

Quasi sempre le donne via via coinvolte - ma tra i “fiori all’occhiello” ci sono stati anche tre uomini - hanno cucito in casa, e soprattutto per la famiglia: lo spazio per il laboratorio di sartoria diventa allora un’occasione per sperimentare una nuova autonomia e un vero e proprio rapporto di lavoro, fuori dall’ambito domestico.

Oggi “Fiori all’Occhiello” ha come dipendenti quattro sarte, di cui una modellista e addetta al taglio, provenienti da Paesi e culture completamente diversi: l’integrazione, prima ancora che con il territorio, è stata quella tra le donne protagoniste del progetto.

E infatti “Fiori all’Occhiello” all’inizio ha una valenza prevalentemente sociale: le donne vengono coinvolte 2-3 giorni alla settimana, per qualche ora, e dato che hanno figli piccolissimi si attiva per loro anche un servizio di babysitteraggio. Viene proposto anche un bilancio delle competenze, un corso diventa l’occasione per conoscersi meglio e fare gruppo.

Con il tempo, l’investimento che mette al centro le ‘risorse umane’ dà i suoi frutti: l’impegno giornaliero cresce - ma garantisce sempre la conciliazione tra lavoro e tempo per la famiglia -, così come cresce la capacità produttiva.

I numeri di una sfida riuscita e un nuovo orizzonte

Oggi l’iniziativa conta quasi 8.200 capi realizzati e centinaia di clienti, in gran parte terzisti “che apprezzano il nostro carattere artigianale: tutto è fatto a mano, dal disegno del cartamodello senza CAD al taglio”. È nata anche una griffe per i propri prodotti, Fiò Made in Baranzate, alla sartoria poi in tanti si rivolgono per vestiti su misura, abiti da sposa compresi: si compra direttamente in laboratorio, nello shop on line sul sito omonimo del progetto oppure in una serie di punti vendita, anche a Milano.

Stoffe, colori, ma soprattutto l’altissima qualità convincono, ed è su questo che insiste Ugolotti - nipote di sarte - portando in luce anche una valenza diversa del progetto, quella su cui si vorrebbe puntare dopo il rallentamento delle attività dovuto alla pandemia. “Con gli anni non abbiamo mai trovato sarte italiane, se non pensionate da tempo - racconta dunque la coordinatrice -. I servizi sociali ci hanno anche segnalato delle persone, che però non avevano le competenze necessarie: la sartoria non è solo saper cucire, occorrono grande creatività e grandissima precisone. Soprattutto sapere utilizzare delle macchine industriali è tutt’altra cosa rispetto alla classica macchina da cucire casalinga”.

Ed ecco il nodo: sarà che quello della sarta è stato identificato come un mestiere tipicamente femminile, forse quasi ‘casalingo’, sta di fatto che “ci siamo resi conto di quanto queste donne siano portatrici di un sapere prezioso, che da noi si sta purtroppo perdendo - spiega Ugolotti -, anche le figlie di sarte non hanno portato avanti questa forma d’arte”. 

Certo, qualcosa sta cambiando, “in laboratorio sono arrivate anche ragazze per tirocini formativi, grazie a design e moda c’è un ritorno di interesse per la sartoria artigianale”. Anche per questo, “stiamo valutando di affiancare alla produzione dei corsi di formazione professionale per le nuove generazioni, affidati alle sarte più esperte cresciute nel nostro laboratorio”. Un modo per non perdere competenze “che rappresentano un’eccellenza. Senza contare che dalle industrie tessili c’è grande richiesta per figure di sartoria”.

Scopri tutti progetti e presenta anche la tua iniziativa sostenibile su Lombardia 2030.

 

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