Covid-19, un taccuino dalla prima linea contro il virus
Redazione Open Innovation
Pubblicato il 07/05/2020
Pubblicata il 07/05/2020 alle 16:10
Ultimo aggiornamento: 07/05/2020 alle 16:10
Ultimo aggiornamento: 07/05/2020 alle 16:10
di Alessandro Venturi - Presidente Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia
Lenire la sofferenza è un imperativo morale costante; l’ossessione contemporanea per la salvaguardia della salute rientra nel sogno umano – persistente, e tuttavia sempre illusorio – di controllare il futuro.
Il mondo occidentale, in soli due mesi, ha accelerato la curva di apprendimento verso un mondo nuovo. Oggi è il sapere che condiziona il potere, quindi inseguire il potere senza porsi il problema del sapere è scorretto. Con lucidità e razionalità Piero Bassetti ci suggerisce una strada: “Rivedere le nostre categorie valoriali o riscoprirle, perché se andiamo ai nostri precedenti ci accorgiamo che siamo stati grandi quando avevamo un sistema di valori diverso da quello di chi ha imposto la subalternità semplicemente con le truppe”.
Su questo incipit alcune considerazioni dal taccuino della prima linea.
- Mai come in questo momento - in epoca recente - abbiamo fatto esperienza della tensione tra il piano del discorso pubblico - l’opinione (doxa) che genera il consenso e nutre le democrazie occidentali – e il piano delle conoscenze strutturate. Quale decision making può comporre il conflitto tra le esigenze della democrazia, che si nutre di doxa, e le esigenze della prassi, che si nutre di competenza (episteme), cioè del sapere? Una domanda a cui non ci possiamo sottrarre se vogliamo porre basi solide per ricostruire e ripensare alcune categorie fondamentali dell’esistere in una comunità. È in fondo la domanda sottesa al discorso pronunciato dal Presidente Schäuble qualche giorno fa.
- Si fa già un gran parlare di riformare il nostro sistema sanitario, tanto nei suoi rapporti di forza tra Stato e Regioni e tra ospedale e territorio. Una dialettica superata dal tramonto dello Stato e delle stesse Regioni, cosi come dall’azzeramento dello spazio fisico tra ospedale e territorio. In altre parole non si tratta di tornare a discutere se ad occuparsi di sanità debba essere lo Stato o le Regioni, piuttosto di quali Istituzioni possano oggi governare la complessità e questo vale per la sanità, ma anche per l’educazione, la mobilità, l’ambiente, la giustizia e financo la politica economica. Parimenti riduttivo e fuorviante è tornare a parlare di spostamento dell’asse di cura dall’ospedale al territorio, quando invece il tema è quale ospedale e quale territorio. Se l’Alta velocità ha azzerato lo spazio fisico che separava Bologna da Milano siamo veramente convinti che si debba investire maggiormente sulla dimensione territoriale piuttosto che convogliare risorse e energie culturali per superare quella distanza fisica? Ripartiamo dal modello Covid-19.
- Dopo la prima fase della pandemia, in cui tutti erano eroi in prima linea a proteggerci e a salvaguardare la nostra salute, ora sempre più insistentemente si va alla ricerca di piani di gestione delle crisi pandemiche o comunque delle emergenze, più o meno velatamente sottendendo a responsabilità istituzionali o personali. Al netto di una utilità residuale, per chi se ne è andato e per chi resta, in una “società del rischio”, come la definisce Ulrich Beck, “dobbiamo accettare l’insicurezza come un elemento della nostra libertà. Può sembrare paradossale, ma questa è anche una forma di democratizzazione: è la scelta, continuamente rinnovata, tra diverse opzioni possibili. Il cambiamento nasce da questa scelta”. Con altre parole la definisce Bauman: “L’incertezza non è un disturbo temporaneo, di cui ci si può liberare imparando le regole, arrendendoci ai consigli degli esperti, o semplicemente facendo quello che fanno gli altri. È al contrario, una condizione permanente di vita… La vita morale è una vita di incertezza costante”. Riprendiamoci, ciascuno per sé, questa responsabilità e questa libertà a qualunque livello della vita siamo impegnati, sia pubblica che privata.
- I dati, il convitato di pietra che fa irruzione nella vita pubblica. Da sempre il bene più prezioso, le informazioni, che fin dai tempi delle grandi battaglie che si combattevano nell’Egeo assicuravano un vantaggio competitivo ben superiore rispetto alla dimensione delle flotte, sono il distillato dei dati e la conoscenza che ne deriva una chiave imprescindibile per assumere decisioni e gestire il rischio. Oggi, sulla scorta dell’emozione e della paura sembreremmo disposti a rinunciare anche a questo spazio di libertà, ma senza una riflessione seria e consapevole il rischio che corriamo è assai più grave dello stesso dilagare del virus.
Il fulcro del discorso risiede nella proprietà del dato. È un tema di sovranità del dato sanitario. A oggi il dato digitale sanitario è nelle disponibilità dei sistemi sanitari, ad esempio in Italia fa capo al Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e ai capillari Sistemi Sanitari Regionali (SSR). Tale passaggio non è altresì scontato e - mantenendo pendente il tema della proprietà - evidenzia alcune criticità: a) Vi è la possibilità di cedere il dato? b) Vi è la possibilità di renderlo oggetto di negozi giuridici? Parimenti al tema della “proprietà” vi è un ulteriore argomento da avanzare, quello della “sicurezza”: a) Come viene conservato il dato digitale sanitario? b) Da chi viene conservato e custodito? c) Con quali requisiti di sicurezza è protetto?
Tante domande, non istruzioni per l’uso, apriamo un confronto serio, ripensiamo all’origine le nostre istituzioni e la dimensione stessa del nostro vivere in una comunità.
Non sono presenti aree di interesse associate a questo contenuto