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Premio Lombardia è Ricerca

22/10/2019

Aguzzi: “I miei studi sulla Mucca Pazza e il valore del Premio Lombardia è ricerca”

Intervista al giurato per Regione e direttore della Neuropatologia dell’Università di Zurigo

Redazione Open Innovation

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Regione Lombardia

Si comporta come un virus, anche se non lo è, infettando in modo letale i neuroni cerebrali. Stiamo parlando del prione, proteina proteica salita agli onori della cronaca come causa dell’Encefalopatia spongiforme bovina (BSE, ossia Bovine Spongiform Encephalopathy) - la cosiddetta malattia della “Mucca Pazza” che negli anni ’90 ha terrorizzato l’Europa - e della sua variante nell’uomo, il morbo di Creutzfeldt-Kakob.

La ricerca sui prioni è il cuore dell’attività di Adriano Aguzzi, pavese trapiantato in Svizzera, Direttore dell’Istituto di Neuropatologia dell’Univerisità di Zurigo, insignito nel 2004 di quello che è definito il Nobel svizzero ovvero il Premio Marcel Benoist, per il suo contributo decisivo “a chiarire i meccanismi di entrata e di transito del prione infettante nell’organismo”. Nominato a febbraio 2019 tra i 30 membri del Consiglio Superiore di Sanità italiano, dallo scorso anno Aguzzi è anche uno dei 15 top scientists della Giuria del Premio internazionale “Lombardia è Ricerca” di Regione Lombardia.

Professore, i suoi studi sui prioni - proteine presenti sulla superficie delle nostre cellule - responsabili della BSE hanno rappresentato una svolta: ricordiamo perché.

“L’aspetto più sorprendente dei prioni è il fatto che tutti gli agenti patogeni conosciuti contengono acidi nucleici - DNA o RNA -, che codificano per le proteine dell’agente patogeno e questo vale per i batteri come per i virus. Per quel che riguarda i prioni, allora, la cosa più sconvolgente è stata l’iniziale scoperta che manca loro ogni tipo di acido nucleico, il che significa che sono una forma di vita capace di replicarsi senza DNA. Ecco la ‘stranezza’ dei prioni, che andava contro ogni dogma della biologia molecolare così come era stata formulata negli anni ’60.

Con il mio mentore, Charles Weissmann, abbiamo dimostrato l’ipotesi che i prioni non contenessero acidi nucleici e in effetti è stata validata. Una premessa: la prima cosa che Weissmann ha scoperto è che in ognuno di noi c’è un gene cellulare che codifica per una proteina normalissima, PrPc. In seguito noi abbiamo ipotizzato che tale proteina PrPc possa trasformarsi in una proteina patogena e quello che abbiamo fatto - ormai circa 25 anni fa - è creare dei topi geneticamente modificati, ai quali mancava il gene che codifica per la proteina PrPc: abbiamo così verificato che questi topi non potevano venire infettati dai prioni. E dunque, la nostra teoria è risultata corretta: non è che la proteina prionica non venga codificata dal DNA, il DNA c’è però non è virale. È un DNA presente nelle cellule di tutti noi, quindi tutti noi abbiamo una certa probabilità o pericolo di venire infettato dai prioni”.

Il morbo di Creutzfeldt-Kakb è letale: i prioni provocano una reazione che porta all’accumulo anomalo di proteine nel cervello, causando la morte dei neuroni. Dopo l’epidemia degli anni ’90, cosa è cambiato?

“Non c’è ancora una cura, la malattia non è debellata ma è molto più rara. Le misure introdotte dalla Comunità europea, ma anche dalla Svizzera dove vivo, hanno permesso di sradicare in modo quasi completo il morbo della Mucca Pazza. E questo è stato un grande successo della scienza: almeno questa volta i politici hanno ascoltato i medici e hanno messo in atto un sistema di precauzioni, vietando di produrre proteine animali e di darle in pasto ad altri animali. Il problema della BSE infatti nasceva dall’abitudine di trasformare scarti della macellazione bovina in mangime per altri bovini: un fatto che ha favorito la diffusione della malattia, dal momento che i prioni sono molto difficili da decontaminare”.

I suoi studi hanno fatto però ulteriori passi avanti: quali? E quali aspettative ci sono per il futuro?

“Quello che abbiamo scoperto negli ultimi dieci anni è che il morbo di Alzheimer, il Parkinson o la malattia di Huntington sono patologie del sistema nervoso molto simili alle malattie causate da prioni. Il lato positivo è che quello che stiamo scoprendo sul versante dei prioni può essere trasferito agli studi su queste malattie: per cui c’è la speranza di trovare delle medicine che possano essere funzionali nel caso dei prioni, e incidere anche sul fronte di patologie neurodegenerative molto diffuse. Quanto ai prossimi orizzonti però, li trovo imprevedibili. L’unica cosa che posso dire, è che se non si finanzia la ricerca di base è certo che le scoperte non arriveranno”.

Ecco, come membro Consiglio Superiore della Sanità come vede lo stato dei finanziamenti alla ricerca in Italia?

“La premessa è che i ricercatori italiani sono bravissimi, sono riconosciuti al pari dei migliori in molti centri internazionali, nel mio laboratorio in svizzera ho molti giovani ricercatori italiani motivati, intelligenti e volonterosi. E dunque: il substrato umano per fare ottima ricerca in Italia c’è. Certo rispetto a molte altre nazioni europee lo Stato italiano pende molto meno sul fronte della ricerca, e che questo è un problema. Di tipo quantitativo, ma anche organizzativo: le strutture italiane sono spesso poco meritocratiche, tendono anzi a punire le persone più brave e a farle emigrare. Questo è un nodo che non può essere sciolto solo aumentando la quota di risorse a disposizione: serve invece una profonda riforma del sistema accademico e dei suoi incentivi.

Devo dire però che negli anni la situazione è migliorata, valutazioni meritocratiche sono state introdotte dall’ANVUR e questo è un ottimo passo avanti. Inoltre segnalo due iniziative che stanno cambiando la ricerca tecnologica e biotecnologica in Italia: l’Istituto Italiano di Tecnologia, una storia di successo incredibile, e lo “Human Technopole” a Milano, uno spazio che a mio avviso potrebbe diventare role model per l’intera ricerca italiana”.

Che cos’altro l’ha colpita della sua esperienza nel CSS italiano?

“Sicuramente le posizioni del movimento anti vaccinale. Una forza molto preoccupante e deleteria in tutto il mondo occidentale ma in Italia in particolare, e davvero non capisco perché l’Italia su questo front sia così suscettibile a fake news, vere e proprie epidemie di menzogne e statements antiscientifici.

Ricordo che lo scorso anno l’Italia ha registrato la seconda più grande epidemia di morbillo in Europa dopo quella della Romania, sono morti dei bambini e la cosa più deprimente è che si tratta di una malattia al 100% prevenibile, una malattia che tra l’altro colpisce solo la specie umana per cui se tutto il mondo fosse vaccinato dal morbillo, nel giro di due anni questa malattia verrebbe completamente debellata dalla faccia della Terra: non tornerebbe cioè mai più e non sarebbe neanche più necessario vaccinarsi.

Per questo il fatto che ci sia stata un’epidemia di morbillo è un fatto vergognoso.  Sono soddisfatto allora che il governo italiano (il primo esecutivo Conte, ndr) pur dopo iniziali tentennamenti abbia deciso di mantenere l’obbligo vaccinale e legge Lorenzin, che ha avuto effetti molto positivi”.

L’altra sua esperienza attuale in Italia è come giurato del “Premio Lombardia è ricerca”: quanto conta che la ricerca scientifica venga valorizzata anche presso un pubblico non specialistico?

“Moltissimo. L’aspetto più importante di questi premi è la creazione di un senso di orgoglio nella popolazione, di identificazione del cittadino e contribuente con ricercatori di grande valore. Trovo che sia incredibile che quando un calciatore fa goal in campionato tutto un Paese esulta, mentre quando un ricercatore fa qualcosa di importante questo non viene neanche comunicato.

Premi e riconoscimenti sono allora un mezzo fondamentale per coinvolgere i cittadini in quell’attività entusiasmante e favolosa che è la ricerca. Per questo ho accettato con entusiasmo di fare parte della Giuria del Premio. Un Premio tra l’altro molto sostanzioso (l’assegno per la scoperta vincitrice è di un milione di euro, ndr) e destinato per i due terzi a portare avanti le ricerche del vincitore, dunque quasi una sorta di Grant”.

 

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