• Premio Lombardia è Ricerca

    Rappuoli: “Vaccini, genomica, antibiotici. I miei successi e i miei traguardi”

    Intervista al pioniere della ricerca vaccinale, giurato del Premio Lombardia è Ricerca

    di Redazione Open Innovation | 11/11/2019

Ha salvato milioni di vite sviluppando il vaccino contro la pertosse, utilizzato per la prima volta la genetica per produrre il vaccino contro il Meningococco B, messo a punto paradigmi scientifici innovativi come la reverse vaccinology. Rino Rappuoli, Chief Scientist and Head External R&D di GSK Vaccines a Siena e Professore di Vaccines Research all’Imperial College di Londra, è tra i giurati del Premio Lombardia è Ricerca di Regione Lombardia che l’8 novembre è stato consegnato al vincitore, il biologo molecolare Guido Kroemer, al Teatro alla Scala di Milano (per saperne di più, leggi qui).

Ricercatore e manager, Medaglia D’Oro dal Presidente della Repubblica Italiana “Al merito della sanità pubblica”, il professor Rappuoli è vincitore di numerosi Premi tra cui l’European Inventor Award for Lifetime Achievement, per l’eccellenza della sua ricerca scientifica che ha permesso di sviluppare vaccini efficaci e innovativi .

Professore, dall’Italia ai vertici di un colosso della farmaceutica internazionale: qual è stato il suo percorso?

“Tutto parte da Siena: qui già più di un secolo fa Achille Sclavo, titolare della cattedra di Igiene all’Università di Siena da fine ‘800, insediò quella che oggi chiameremmo una startup e che sarebbe diventato l’Istituto sieroterapico vaccinogeno Sclavo, produttore di vaccini per l’Italia per oltre cent’anni. È qui che negli anni ’60 si cominciò a produrre il vaccino contro la poliomielite, ottenuto da Albert Sabin.

Questo è il contesto in cui mi sono formato. Il mio percorso però deve moltissimo anche alle esperienze all’estero, come visiting scientist alla Rockefeller University di New York e alla Harvard Medical School di Boston. E questo per due motivi. Anzitutto ho avuto modo di lavorare con i migliori al mondo nella ricerca su patogeni virali e batterici. Inoltre ho potuto vedere come è organizzata la ricerca là dove funziona davvero, e costruire un network di relazioni con esperti internazionali con cui negli anni ho continuato a collaborare”.

 

“Il Premio Lombardia è Ricerca un’iniziativa importantissima: far capire quanto la nostra quotidianità è influenzata dalla ricerca può essere fondamentale per promuovere investimenti pubblici e privati”.

 

Ecco, come raggiungere quegli standard?

“La prima cosa da dire è che la ricerca in Italia non è abbastanza valorizzata: nel senso che non le è attribuito il giusto valore economico. C’è un problema di budget, ma il nodo è anche culturale. Per dire: negli anni ’90 l’Istituto Sclavo ormai di proprietà dell’ENI stava per perdere il suo settore ricerca. Intanto però avevamo sviluppato il miglior vaccino al mondo contro la pertosse, e per questo un’azienda bio farmaceutica californiana aveva deciso di investire su di noi: così, se l’Istituto contava 234 dipendenti oggi, grazie anche a varie fusioni e cambi di proprietà fino a quella della GlaxoSmithKline, siamo circa 2.500 persone nei poli di Siena e di Rosia. Dunque, non è tanto e solo questione di fondi: per fare ricerca occorrono soprattutto buone idee e progetti competitivi a livello internazionale. Secondo punto che voglio sottolineare è che la ricerca può essere la vera base di un’economia moderna, che di certo in Italia non può puntare sul costo del lavoro. A questo proposito, mi pare assurdo che il nostro Paese non abbia mai avuto un ministro della Ricerca, quando questa e la tecnologia sono gli unici fattori a poter garantire una crescita economica”.

A proposito di valorizzazione della ricerca, che ruolo può giocare un Premio come “Lombardia è Ricerca”, promosso da Regione Lombardia?

“Trovo che questo riconoscimento sia un’iniziativa importantissima: far capire quanto la nostra quotidianità è influenzata dalla ricerca - in questo caso medica - può essere fondamentale per promuovere investimenti pubblici e privati”.

 

Siamo prove cliniche per un vaccino contro il virus respiratorio sinciziale. E vogliamo affrontare quella che è un’emergenza globale, la resistenza agli antibiotici: i vaccini possono prevenire le infezioni da microrganismi multi-resistenti agli antibiotici”

 

Contro il meningococco B ha creato un nuovo metodo di produzione dei vaccini, grazie alla genomica: come è nato? 

“In effetti, già dagli anni ’60 del Novecento tutti erano a caccia di questo vaccino, i primi tentativi falliti risalgono addirittura agli anni ’40. Il problema nasceva dal fatto che la capsula batterica che ricopre il meningococco B ha una composizione chimica uguale a quella di uno zucchero naturalmente presente nel nostro organismo, nel tessuto neuronale: dunque il sistema immunitario non lo riconosceva come un elemento estraneo, oppure poteva riconoscerlo e provocare reazioni avverse, e questo aveva portato al fallimento di tutti i vaccini messi a punto fino ad allora, compreso uno messo a punto dal mio gruppo agli inizi degli anni ’90.

Nel 1995 Craig Venter riuscì però per la prima volta a sequenziare l’intero genoma di un organismo vivente: subito pensai che con quella nuova tecnologia a disposizione dovevamo tentare un approccio del tutto diverso. Allora sono andato da Venter chiedendogli di sequenziare il meningococco B: così, invece di partire dall’inoculare un agente patogeno attenuato o depotenziato per poi neutralizzarlo, grazie alla ‘mappa’ di Venter siamo riusciti finalmente a individuare una possibile ‘porta di accesso’ del vaccino: senza dover coltivare il patogeno, ma creando un agente al computer con parte del Dna del batterio. Di fatto si è trattato del primo prodotto farmaceutico sviluppato grazie alla genomica.

Un risultato ottenuto con un processo inverso a quello tradizionale, e che per questo avevo ribattezzato di ‘reverse vaccinology’. Allora ci erano voluti 14 mesi a Venter per sequenziare il batterio del meningococco B, nei suoi laboratori: oggi un processo analogo lo posso portare a termine in un giorno, nella stanza accanto al mio ufficio”. 

Su cosa sta lavorando oggi e qual è il suo ‘sogno nel cassetto’, il prossimo traguardo che vorrebbe tagliare?

“Siamo alla fase di prove cliniche per un vaccino contro il virus respiratorio sinciziale: non tutti lo sanno, ma si tratta del patogeno che causa il maggior numero di ospedalizzazioni da polmonite infantile nei primi sei mesi di vita nei Paesi più sviluppati, mentre in quelli in via di sviluppo è responsabile di un alto tasso di mortalità. Ci stiamo lavorando con quella che chiamo reverse vaccinology 2.0, resa possibile dallo sviluppo di altre nuove tecnologie. La lotta a questo virus poggia infatti sull’individuazione della sua struttura atomica: si era visto che il virus era estremamente instabile, per controllarlo abbiamo ingegnerizzato molecole ad hoc: un passo avanti che dovrebbe permetterci di sviluppare il vaccino nel giro di 5-6 anni.

L’altro grande obiettivo parte da quella che è una vera e propria emergenza globale, ovvero la resistenza agli antibiotici. Un problema oggi ancora sottovalutato, ma destinato ad avere dimensioni enormi, tanto che un recente studio di alcuni economisti di Oxford ha calcolato che nel 2030 l’impatto economico della resistenza agli antibiotici sarà uguale se non maggiore a quello dei cambiamenti climatici.

In cifre: nei Paesi in via di sviluppo ormai il 70-80% dei batteri sono resistenti agli antibiotici, ne servirebbero allora di nuovi ma produrli è difficilissimo, non si è quasi più riusciti negli ultimi quarant’anni. Noi allora ci stiamo impegnando anzitutto con una campagna informativa sul tema a livello mondiale, quindi spiegando che i vaccini possono prevenire le infezioni da microrganismi multi-resistenti agli antibiotici, attraverso diversi meccanismi. Senza contare che già ora possono prevenire molte infezioni virali e ridurre sensibilmente l’suo di terapie antibiotiche inappropriate, spesso ancora utilizzate”.

Però già oggi contro i vaccini si è creato un movimento, quello dei No Vax, che si è fatto molto sentire specie in Italia: come affrontarlo?

“Sulle vaccinazioni c’è stato e c’è un grande problema di comunicazione. Non ma la prendo con i No Vax, credo piuttosto ci sia una responsabilità collettiva nel non aver saputo spiegare cosa davvero si rischia: le nuove generazioni non hanno mai visto di persona quali possono essere gli effetti devastanti della poliomelite, o di altre malattie infettive pure prevenibili ed eliminabili. E non pensano che se la vita media oggi in Europa è di più di 85 anni, contro i 35 di inizio Novecento, è soprattutto grazie alle vittorie ottenute dai vaccini contro una serie di patologie. Credo allora che dovremmo cominciare dalle scuole, forse fin dall’asilo, a insegnare che certi traguardi non sono scontati, ma frutto di lunghe ricerche e di una buona prevenzione”.

 

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