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Approfondimenti

12/04/2023

NADINE, una terapia per proteggerci dalle malattie neurodegenerative

Il progetto della professoressa Borsello (Statale di Milano) sarà finanziato da Seed4Innovation

Redazione Open Innovation

Un nuovo marcatore terapeutico e insieme un biomarker predittivo di diverse malattie neurodegenerative, tra le patologie più temute e invalidanti. Questo il risultato che è ha portato il progetto NADINE a essere selezionato tra gli otto progetti finanziati da Seed4Innovation, il programma di innovazione organizzato da Fondazione UNIMI e dall’Università degli Studi di Milano.

I protagonisti

Il gruppo di ricerca di NADINE fa caso alla professoressa Tiziana Borsello del Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari “Rodolfo Paoletti” dell’Università degli Studi di Milano e al suo laboratorio distaccato presso l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri-IRCCS.

A loro si deve l’individuazione di un peptide (SIMBA2, brevetto 2021) che recupera la perdita della memoria e delle capacità motorie nei topi con malattie neurodegenerative, scoprendo nel contempo un biomarcatore predittivo e prognostico (JASEMINE, domanda di brevetto 2022) per patologie del cervello.

Il progetto nasce da 25 anni di studi sulla neurodegenezione e la neuroprotezione e dalla ricerca del meccanismo biologico precoce e comune alle diverse malattie del cervello.

Il contesto

Il progetto NADINE (JNK3 a the crossroAds between DiagnosIs and treatment of Neurological disEases) si propone dunque di affrontare il problema evidenziato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che vede un terzo della popolazione globale sviluppare entro il 2050 una qualche condizione neurologica in assenza di previsioni di sviluppo di cure adeguate.

Già oggi, i disturbi neurologici (tra cui ictus e demenze croniche) sono la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità nel mondo (Global Burden of Diseases).

Le funzioni cognitive sono garantite da una fittissima rete di neuroni, che comunicano fra di loro tramite delle sinapsi. Le sinapsi sono connessioni che si modellano a seconda delle necessità e permettono l’apprendimento, la memoria, lo svolgimento delle attività quotidiane. Più sono usate e più si stabilizzano. In linea di principio il cervello funziona come un muscolo che ben allenato diventa performante.

Nelle patologie neurodegenerative, le sinapsi si danneggiano e la rete neuronale interrompe man mano le connessioni, determinando la perdita di informazioni al cervello che quindi perde le sue consuete capacità: la memoria e altre capacità superiori tipiche della specie umana.

La plasticità del cervello permette, grazie al dinamismo delle sinapsi, di costruire nuove connessioni e nuovi contatti fra i neuroni realizzando la formazione di nuovi circuiti. Le sinapsi possono essere dinamicamente rimodellate ma i neuroni, se muoiono, non possono essere rimpiazzati.

La ricerca e il risultato

Il gruppo di ricerca ha dimostrato che la disfunzione sinaptica, prima manifestazione delle malattie neurologiche, è determinata da un non corretto funzionamento della proteina JNK3.

Di conseguenza, con il supporto del professor Mattia Falconi, il team ha creato un peptide inibitore specifico di JNK3 (SIMBA2), in grado di regolarne il funzionamento. E infine ha dimostrato in modelli in vitro e in vivo di demenza di Alzheimer e Ischemia Cerebrale il recupero della perdita della memoria e delle capacità motorie.

“Nadine è il progetto di una terapia per proteggere il cervello dalle malattie neurodegenerative e di un metodo per identificare precocemente i malati. SIMBA2 interrompe il programma di degenerazione delle sinapsi ma anche della morte neuronale, consentendo al cervello di realizzare nuove connessioni sinaptiche”, sottolinea la professoressa Tiziana Borsello. Le nuove connessioni ripristinano le funzionalità sfruttando la plasticità celebrale.

La dimostrazione scientifica di funzionamento di SIMBA2 in una malattia cronica e in una acuta consente di pensare che possa funzionare per un ampio spettro di malattie.

L’innovazione

 SIMBA2 agisce specificamente e selettivamente su JNK3, come bersaglio preferenziale rispetto ai suoi simili, e senza interferire con altre proteine. È stato concepito per essere selettivo, ridurre la tossicità e diminuire gli effetti collaterali o di efficacia legati alla non-trasferibilità dagli studi su modelli animali.

Il gruppo di ricerca ha inoltre scoperto che JNK3 è candidato a essere un biomarcatore predittivo e prognostico (JASEMINE) delle malattie del cervello. Potrebbe essere utilizzato anche per la “stratificazione” dei pazienti affetti da diverse patologie e per monitorare l’efficacia di una possibile cura, il giorno in cui dovesse essercene una disponibile.

Infatti, la misurazione dei livelli di JNK3 raccolti in pazienti affetti da Alzheimer e da deficit cognitivo lieve ne suggerisce il potenziale utilizzo come biomarcatore di disfunzione sinaptica nel liquido cefalospinale (CSF), nella mucosa nasale e nel plasma.

Il progetto Nadine è nato ed è stato sviluppato in Italia, sebbene siano stati coinvolti alcuni tra i più importanti neuroscienziati del mondo. Il team sta completando gli studi di base su patologie croniche (Alzheimer, Parkinson) e acute (Ischemia cerebrale, Trauma cranico) ma è anche impegnato nell’indagine delle malattie neurosensoriali (glaucoma, retinopatia e perdita dell’udito) e sulle malattie del neurosviluppo e genetiche rare (Rett e Angelman).

Se la ricerca è promettente, bisogna però dire che Nadine attualmente si trova nella cosiddetta “valle della morte”: quando cioè i finanziamenti per la ricerca di base sono sempre più scarsi ed è ancora difficile trovare investitori interessati alla valorizzazione delle scoperte da proporre al mercato.

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