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    Ambiente: da ogni mascherina anti-Covid fino a 173 mila microfibre in mare

    Uno studio dell’Università Bicocca ne ha simulato la degradazione in caso di abbandono all’aperto

    di Redazione Open Innovation | 18/06/2021

È ormai chiaro che l’utilizzo intensivo delle mascherine dall’inizio dell’emergenza Covid-19 comporta una problematica conseguente di grande importanza: il loro smaltimento e impatto ambientale. Il Dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Terra dell’Università di Milano-Bicocca ha analizzato quanti componenti di una mascherina chirurgica vengono rilasciati in ambiente marino: si tratta di ben 173 mila microfibre per dispositivo.

Lo studio, recentemente pubblicato sulla rivista Environmental Advances, ha inoltre approfondito il meccanismo di degradazione foto-ossidativa delle fibre di polipropilene presenti nei tre strati delle mascherine chirurgiche: per questo oggetto oggi di uso comune non era infatti disponibile in letteratura il dato relativo alla stabilità oltre il limite di utilizzo.

Le mascherine sono state così sottoposte a esperimenti di invecchiamento artificiale, simulando ciò che avviene nell’ambiente, quando una mascherina abbandonata inizia a degradarsi a causa dell’esposizione agli agenti atmosferici e, in particolare, alla radiazione solare.

Dalla ricerca The release process of microfibers: from surgical face masks into the marine environment è emerso anche come una singola mascherina esposta alla luce UV-A per 180 ore possa rilasciare centinaia di migliaia di particelle del diametro di poche decine di micron. Un processo che ha luogo per un certo lasso di tempo prima che la mascherina arrivi al mare, dove è poi sottoposta a stress meccanici prolungati indotti dal moto ondoso e avviene il maggior rilascio di microfibre.

Come per altre microplastiche, anche le particelle rilasciate dalle mascherine possono provocare nei pesci sia danni da ostruzione in seguito a ingestione, sia effetti tossicologici dovuti contaminanti chimici e biologici. Ed è potenzialmente particolarmente dannosa la presenza di frazioni sub-micrometriche, potenzialmente capaci di attraversare le barriere biologiche. Un dato che potrebbe incidere quindi sulla catena alimentare, e che rende ancora di più assolutamente rilevante e urgente il tema del corretto smaltimento di questi particolari rifiuti.

 

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