• Storie di innovazione

    Il futuro passa dai big data. Il rapporto dell’OECD sulla Data Driven Innovation

    di Marica Franzini | 12/10/2015

Ieri, abbiamo fatto due chiacchiere con Christian Reimsbach-Kounatze, giovane economista ed analista politico dell’Ocse, nonché curatore dei Report “Data driven innovation: big data for growth and well-being”.

Cos’è la Data driven innovation (DDI)? È un’innovazione guidata dal valore aggiunto dei big data, che abbraccia orizzontalmente tutti i settori: dal commercio, alle smart city, dall’istruzione fino alla sicurezza e al trasporto.

Secondo il report dell’OECD illustrato ieri alla Camera di Commercio di Roma durante l’evento organizzato da Formiche.net, quelle aziende che utilizzano i big data all’interno dei loro processi produttivi o informativi, accrescono, rispetto alle altre, la loro produttività del 5-10%.

Il motivo? La semplicità con la quale è possibile raccogliere i dati e analizzarli, cosa che richiede comunque un certo livello di expertise (i cosiddetti “data analyst”), e il fatto che possano considerarsi, più che una vera e propria risorsa, come un’infrastruttura che collega velocemente tanti punti strategici.

Alla stregua di un’autostrada infatti, i dati possono essere riutilizzati e scambiati dalle aziende e dalle istituzioni, e al contrario delle classiche fonti di energia rappresentano una materia prima praticamente inesauribile.

Ogni giorno gli utenti producono dati, la maggiorparte dei quali però, soprattutto in Italia, non riescono ancora ad essere raccolti e utilizzati del tutto a causa di una mancanza di skill e tecnologie necessarie.

Ecco perché nel rapporto dell’OECD si evidenzia il ruolo fondamentale dei governi di quei paesi dove ancora non si riescono a sfruttare a pieno le opportunità offerte dai big data, che dovranno incoraggiare gli investimenti e formare i nuovi professionisti dei dati.

Dell’impatto generato dai big data risentiranno infatti tutti i settori e la crescita economica sarà a 360 gradi: la sanità, ad esempio, ne beneficierà con la possibilità di rilevare e analizzare le informazioni relative alla salute degli utenti in maniera automatica e istantanea, grazie alla collaborazione delle aziende che producono i software e i dispositivi con le istituzioni pubbliche che si occupano della tutela dei cittadini.

Oppure il trasporto pubblico, dove gli open data (i “dati aperti”) resi disponibili dalle aziende possono essere utilizzati dagli sviluppatori di app ma anche dagli ingegneri, al fine di progettare città intelligenti, che “funzionino” basandosi su rivelazioni in tempo reale (per approfondire, oggi c’è un’interessante intervista a Gianni Dominici di ForumPA).

Le implicazioni per i governi e l’industry sono quindi enormi: i policy maker non possono più aspettare per sviluppare politiche appropriate che favoririscano questo tipo di innovazione.

Come fare? Da un lato bisognerà abbassare il più possibile le barriere all’ingresso che potrebbero limitare gli effetti della DDI e favorire ambienti competititvi, di cui beneficeranno, in primis, gli utenti.

Dall’altro, è necessario che venga promosso un uso responsabile dei dati personali (che non sono assolutamente la stessa cosa dei big data), alla luce della recente decisione della Corte di Giustizia UE, insieme con un approccio trasparente da parte delle aziende e delle istituzioni.