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Sulla complessità e semplicità tra digitale e materiale. Interagire con una calcolatrice
di Angela Di Massa
Avete presente le calcolatrici da tavolo? A me vengono in mente due tipologie: il modello essenziale con circa 19 pulsanti e quello più complesso con almeno 49 pulsanti (calcolatrice scientifica). Sicuramente esisteranno altre versioni, ma ai fini della discussione è sufficiente immaginarsi questi due esempi. La calcolatrice scientifica è quella che apparentemente può sembrare più difficile da utilizzare a causa del numero elevato di pulsanti e funzioni. Se guardiamo con maggior attenzione le due calcolatrici sono però entrambe progettate sulla base di gruppi logici facilmente comprensibili che non ci fanno percepire la calcolatrice troppo complessa: basta ignorare quelle funzioni che possono essere sconosciuti ai molti e usare lo strumento per i calcoli base.
Secondo Donald Norman la complessità descrive uno stato del mondo, le attività che compiamo, mentre l’aggettivo complicato descrive uno stato della mente, lo stato psicologico di una persona nel suo tentativo di capire, usare o interagire con qualcosa nel mondo [1]. La chiave di lettura della complessità risiede quindi nei due concetti di comprensibilità (c’è una logica sottostante?) e di comprensione (abbiamo le abilità e le competenze?).
Tornando all’esempio delle calcolatrici, possiamo quindi affermare che ridurre il numero dei pulsanti non significa necessariamente semplificare un oggetto e il suo utilizzo. è bene infatti distinguere una semplicità percepita da una semplicità d’uso. La prima è strettamente legata al numero di componenti e controlli (all’aumentare degli oggetti diminuisce la semplicità), mentre la seconda è legata all’interazione con gli oggetti, all’operatività, quando è chiaro che cosa il controllo od oggetto fa.
[1] Norman, D. A. (2011). Vivere con la complessità. Pearson.
Ultimi 2 contributi di 2 totali
Annarita Tronchin
20/06/2017 alle 11:05
Ciao Angela, e grazie per il tuo contributo. Le riflessioni che tu proponi non sono affatto scontate, effettivamente è proprio così. Si tratta infatti di concetti – quello della complessità e quello del complicato - applicabili ad ogni tipo di oggetto e non solo. Inoltre, portando alla luce concetti e meccanismi dell’interazione con un oggetto (o una situazione se vuoi) diventa anche più immediato percepire fino a dove entri in gioco l’uno o l’altro ed approcciarsi al suo utilizzo in maniera più semplice ed immediata.
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Benedetta Scarpelli
21/06/2017 alle 15:57
Gentile Angela,
leggendo il tuo commento mi è tornato in mente un episodio che mi ha molto colpito: ero con dei colleghi da un cliente e stavamo parlando di un nuovo software che poi abbiamo avuto il compito di ridisegnare. Durante il briefing il cliente mostra con orgoglio l’ultimo sviluppo del software in questione e racconta che, quando lo propone ai potenziali clienti, raccoglie molta ammirazione perché “sembra facile da usare”. Questa affermazione è risultata poi molto stridente rispetto al parere che hanno del software le persone che ci lavorano tutti i giorni.
A prima vista infatti l’interfaccia risulta abbastanza friendly, quanto meno dal punto della comunicazione: sfondo chiaro, pochi pulsanti, bottoni colorati e stondati, icone arrotondate. Questa semplicità percepita nascondeva però dei grossi problemi di architettura del sistema e di modalità di interazione con la macchina.
Purtroppo, soprattutto nei casi di software complessi, non è facile capire a prima vista quando si parala di semplicità percepita o semplicità d’uso, ma le due cose possono essere molto distanti tra loro e posso avere impatti molto diversi sul software e sulle persone che ci lavorano tutti i giorni.